Un efficiente metodo di studio è il primo strumento compensativo per un alunno con dislessia

Questo contributo ha come scopo principale quello di sottolineare l’importanza di considerare un buon metodo di studio come il primo degli strumenti compensativi per gli alunni con dislessia. Per questo motivo viene presentata una proposta di metodo di studio che prevede attività da svolgere a partire dalla spiegazione dei contenuti da studiare da parte del docente, a casa, lo stesso giorno e nei giorni successivi fino alla gestione delle verifiche.

Perché uno studente con dislessia ha bisogno di un efficiente METODO DI STUDIO ? Sostanzialmente perché rispetto ai suoi coetanei normolettori non può permettersi di adottare il metodo di studio più diffuso che consiste nel leggere più volte il materiale da studiare, da cui poter eventualmente ricavare riassunti o schemi scritti più o meno ricchi di contenuti, da rileggere prima delle verifiche. La sua difficoltà di lettura gli rallenterebbe non solo i tempi, ma lo affaticherebbe e gli renderebbe precari i processi di comprensione ed elaborazione del testo. A partire da queste considerazioni, ripercorreremo le fasi del metodo di studio, analizzando come esse possano essere applicate e valorizzate nel caso dello studente dislessico.

Le fasi del metodo di studio

In classe, durante la spiegazione

Cosa si può ricavare durante la spiegazione in classe che sia utile per favorire la comprensione dei contenuti da studiare e ridurre il tempo da dedicare allo studio pomeridiano?

Indichiamo almeno tre elementi:

– E’ possibile interagire con un esperto della materia per chiarire i dubbi rispetto ai contenuti da apprendere;

– l’esperto è anche il valutatore di quanto appreso e quindi per l’alunno è importante capire cosa lui consideri importante conoscere e come verrà valutata questa conoscenza;

– è possibile individuare quali parti dei materiali disponibili per lo studio pomeridiano, primi fra tutti i testi in adozione, contengano le informazioni che il docente ritiene più importanti e che saranno oggetto di verifica.

Cosa è necessario fare quindi durante la spiegazione in classe?

– Chiedere spiegazioni ogni qual volta sia necessario chiarire la propria comprensione di quanto viene spiegato;

– cercare di individuare quali contenuti siano ritenuti fondamentali e quali meno dal docente e prenderne nota, possibilmente sui materiali (di solito il libro di testo) che verranno utilizzati nello studio a casa.

Per un alunno con disturbo specifico di lettura è bene, ovviamente, che qualsiasi appunto e promemoria richieda il minimo di lettura ed è quindi consigliabile utilizzare simboli visivi, parole chiave, brevi frasi, evidenziare  alcune parti importanti e costruire  mappe, tabelle, ecc..

A casa

Suggeriamo a tal proposito un tempo non superiore a un’ora di lavoro per casa per lo studente della scuola primaria, non più di due ore per lo studente della secondaria che va a scuola solo al mattino, e metà del tempo indicato per chi ha scuola a tempo pieno o nei giorni con orario prolungato. Questo consiglio è rivolto sia agli insegnanti, perché valutino con realismo e concretezza le richieste che indirizzano agli studenti, sia ai genitori, perché non chiedano troppo ai loro figli, ma anche agli studenti, affinché imparino a sviluppare modalità efficienti e rapide di studio. Questo monito vale soprattutto per il bambino dislessico che, a causa delle caratteristiche delle sue difficoltà, lavora meno in «in automatico», e quindi si affatica maggiormente e al quale, paradossalmente, si finisce invece col chiedere un tempo di lavoro intellettuale raddoppiato. Vediamo ora le fasi dello studio per casa, come potrebbero essere utili per tutti gli studenti e in particolare per quelli dislessici. 1. Lo stesso giorno della spiegazione. Ammettendo quindi che durante la lezione si siano chiariti tutti i dubbi rispetto ai contenuti da acquisire e si siano indicati nel testo tutti i promemoria necessari per individuare le informazioni rilevanti e per chiarirne il significato, è opportuno che questo materiale sia consultato lo stesso giorno della spiegazione per verificare se quanto raccolto in classe risulti veramente tutto chiaro. Farlo in prossimità della lezione successiva, di solito dopo un paio di giorni o peggio in prossimità delle verifiche a medio-termine, quindi dopo parecchi giorni, vuol dire rischiare di non ricordare parte dei contenuti e di trovare incomprensibili le proprie annotazioni. Va ricordato che più passano i giorni, più si dimentica ciò che è stato ascoltato, ma non ancora rielaborato. Suggeriamo quindi di dedicare un breve ripasso di quanto raccolto in classe per verificare se i propri appunti siano comprensibili ed eventualmente sistemarli. Rivedere gli appunti e ripensare a quanto detto in classe comporta anche il vantaggio di elaborare già una prima volta il materiale, favorendo così le fasi successive di apprendimento e memorizzazione. In questa fase si potrebbe anche prevedere, là dove l’insegnante costruisca uno specifico percorso organizzato secondo le finalità qui indicate, lo svolgimento di alcuni esercizi assegnati per la lezione successiva e la preparazione di domande per simulare la verifica secondo lo stile del docente (ad esempio domande aperte o strutturate, risposte scritte o orali, ecc.). A chi può pensare che questo suggerimento comporti il prolungamento dei tempi di studio, rispondiamo che, al contrario, questa attività aumenta la probabilità di dover dedicare meno tempo alla preparazione della lezione successiva e facilita il recupero prima delle verifiche. 2. Prima della lezione successiva. Se, in caso non sia prevista una verifica, lo studente si presenta alla lezione successiva senza aver assimilato i contenuti fondamentali di quella precedente, i contenuti della lezione si appoggeranno sulla sabbia. È quindi importante per l’alunno rivedere in ogni caso quanto disponibile sul testo e sugli eventuali altri materiali che riportano le informazioni da studiare.

Durante le verifiche

In questi casi, lo studente deve imparare a non farsi paralizzare dall’ansia e avere pronte alcune strategie, come parlarne con l’insegnante, avere in mente (o anche a disposizione, se l’insegnante lo consente) dei punti-guida o una scaletta a cui fare riferimento. Deve inoltre imparare a valutare rapidamente i tempi necessari per lo svolgimento delle varie parti di una prova, in modo da non farsi trovare indietro alla conclusione della prova, a posticipare le parti che potrebbero bloccarlo, ecc. Nel caso dello studente dislessico, ad esempio è necessario acquisire la capacità di non farsi condizionare eccessivamente dalle difficoltà di lettura e scrittura, ma fornire risposte brevi e chiare alle domande aperte, ecc..

Dopo le verifiche

Se sono andate bene, tutti soddisfatti. In caso contrario, la prima domanda da porsi è: c’è qualcosa da perfezionare nel mio metodo di studio?

Consigli generali per ottimizzare il tempo di studio

Non ci sono regole per quanto riguarda il quanto e il quando iniziare a studiare perché questo dipende dal tempo a disposizione, dalle condizioni mentali e fisiche personali, dalla quantità di lavoro da svolgere, ecc. Per il resto, un buon suggerimento generale è quello di dedicare allo studio un tempo limitato in «piena forma» e senza distrazioni o preoccupazioni, piuttosto che un tempo prolungato, stanchi o con la preoccupazione di non riuscire a uscire con gli amici, praticare il proprio sport preferito o guardare la trasmissione TV imperdibile. Il principio da tener presente è che non è la quantità di tempo che conta, ma la qualità.

Il rapporto con gli insegnanti

Nel caso di studenti dislessici è difficile che l’insegnante non sia informato della condizione dell’alunno e che in qualche modo non ne abbia tenuto conto. Potrà essere utile coinvolgerlo anche nello sforzo volto a migliorare il metodo di studio. Per lo studente dislessico, ma anche per tutti gli altri, è importante che l’insegnante sia consapevole del lavoro richiesto per casa e delle sue implicazioni. Per questo raccomandiamo che a scuola sia dedicato tempo per spiegare bene che cosa ci si attenda nel lavoro per casa e anticipare e risolvere problemi che l’alunno potrebbe incontrare. Come già abbiamo anticipato, infine, è importante che l’insegnante valuti bene l’entità del lavoro da svolgere che richiede ai suoi allievi ,anche coordinandosi in proposito con i colleghi.

 

Il circle-time : uno strumento per l’inclusione

 

Il circle-time a scuola: uno strumento per l'inclusione

Sono sotto gli occhi di tutti i grandi mutamenti che la complessità sociale ha portato nella scuola: sono cambiati gli alunni e le problematiche presentate, ma anche le loro famiglie, l’organizzazione scolastica, etc. Si modificano quindi i contenuti e la didattica ma, soprattutto, alla scuola come istituzione si chiede oggi qualcosa di nuovo e complesso: che fornisca un’educazione a tutto tondo, favorendo una crescita globale dell’alunno! In un simile contesto gli insegnanti si trovano sempre più spesso con la sensazione di avere pochi strumenti, “schiacciati” tra crescenti complessità burocratico-organizzative e difficoltà di gestione delle “nuove” classi. Le problematiche più frequentemente riportate sono:

– difficoltà di ascolto (gli alunni si distraggono o non rispettano i turni di parola);
– gestione di alunni con comportamenti più o meno sintomatici (che esprimono, quindi, un bisogno di “farsi vedere” tanto dagli insegnanti quanto dai compagni che va decodificato e canalizzato);
– alunni poco partecipativi (che tentano di “passare inosservati” o di omologarsi).

Dunque, se è sempre più evidente che la scuola sta attraversando una fase di cambiamento importante (in cui -non lo dimentichiamo- si inseriscono anche la legge 170/2010 sui DSA e la recente normativa riguardante gli alunni con BES…), lo è altrettanto la convinzione che essa non può affrontarla con strumenti e strategie didattiche ed educative “vecchio stile”. Il modello di insegnamento frontale che centralizza la figura del docente offrendo a tutti gli alunni lo stesso tipo di stimoli è chiaramente inefficace per coinvolgere adeguatamente ogni studente (l’iperattivo, il disabile, il timido, etc.) nella lezione e vita di classe; sono necessarie piuttosto metodologie didattiche ed educative inclusive che favoriscano le competenze individuali, valorizzando le risorse e le differenze di ciascuno. Sono necessari “spazi” diversi, che pur facendo i conti con la ristrettezza di risorse economiche, si configurino come risposte possibili.
Il circle-time è una di queste!
Ovviamente muoversi verso qualcosa di ancora non ben conosciuto può costare fatica, ma crediamo che l’unico modo per superarla sia guardare da vicino la novità fino a sperimentarla in prima persona.
Il circle-time si configura come un agile ma potente strumento per la promozione del benessere e dell’inclusione in classe. Dare a ogni alunno la possibilità di contribuire a un processo di gruppo all’interno di uno spazio e di un luogo appositamente costruiti, può essere un primo passo per far sperimentare a ciascuno – all’interno di una cornice protetta- qualcosa di nuovo, da poter poi “portare fuori” in altri contesti.
Il punto di partenza per l’utilizzo di un simile strumento è la convinzione che tutti noi abbiamo potenzialità diverse e che ognuno (sia un alunno con BES o meno), nella sua diversità merita, soprattutto a scuola, di essere riconosciuto, fortificato, gratificato, valorizzato e migliorato.
COS’E’ E COME SI SVOLGE UN CIRCLE-TIME?
Si tratta di un metodo di lavoro, pensato per facilitare la comunicazione e la conoscenza reciproca nei gruppi. In ambito scolastico trova un’ottima applicazione: gli alunni si posizionano su sedie disposte in cerchio, cosicché ciascuno possa vedere ed essere visto da tutti, lasciando libero lo spazio al centro, sotto la guida di un adulto (preferibilmente un insegnante della classe). La comunicazione avviene secondo regole condivise all’inizio e finalizzate a promuovere l’ascolto attivo e la partecipazione di tutti (può essere utile, per esempio, stabilire che i turni di parola siano ritualizzati dal passaggio di un oggetto). Il “tempo del cerchio” ha una durata fissa all’interno della quale possono essere proposte delle attività strutturate guidate dall’insegnate oppure lasciata libertà di discussione (a seconda della fase del gruppo e delle specifiche esigenze della classe) su tematiche proposte dagli stessi alunni. All’interno del cerchio, l’insegnante ricopre il ruolo di facilitatore della comunicazione evitando di assumere posizioni centrali (per esempio fornendo soluzioni o risposte agli alunni): l’obiettivo è facilitare la cooperazione fra tutti i membri del gruppo-classe, la creazione di uno spazio in cui ciascuno è incluso e chiamato a partecipare, sebbene con le proprie modalità e i propri tempi, in modo da soddisfare sia il proprio bisogno di appartenenza che di individualità.
E’ importante che la cadenza del circle-time sia fissa, affinché la classe abbia la sicurezza di avere un suo spazio di gruppo e impari quindi ad usarlo, a seconda dei bisogni che andranno emergendo di volta in volta. Si può pensare a incontri settimanali o quindicinali della durata di 60/75 min, guidati sempre dallo stesso insegnante (che potrebbe essere quello di sostegno) o meno. L’importante è che ci sia una programmazione, ossia che il gruppo docente senta questa attività come parte integrante della vita di classe (al di là di qual è l’insegnante che la porta avanti) e che, fungendo da “mente di gruppo”, la pensi ed elabori: una strategia che può aiutare gli insegnanti a lavorare meglio è proprio l’organizzazione di spazi in cui condividere l’esperienza in corso che, quindi, diventerà un’attività che riguarda l’intero corpo docente, un’opportunità per tutti.
La prassi ci dice che gli alunni si appassionano a quello che sperimentano come un piacevole e necessario momento di confronto, tanto da chiedere loro stessi che venga fatto e che le regole siano rispettate.

Dunque il circle-time:

• Consente agli alunni di esprimersi e conoscersi meglio, valorizzando le differenze
• Facilita l’inclusività
• Permette agli insegnanti di conoscere meglio i propri studenti e la classe
• Può essere uno strumento di prevenzione e gestione della conflittualità

La scuola si muove così non più solo in direzione del “sapere” e del “saper fare” ma anche e soprattutto verso il “saper essere”.

 

Come influiscono le emozioni sulle risorse

La relazione tra il mondo cognitivo ed emotivo è molto profonda e non è da sottovalutare.

Le risorse attentive sono condizionate dalle emozioni(positive o negative) e dalla quantità di motivazione esercitata (scarsa o abbondante).
 
 
Con risorse attentive allenate migliorano l’attenzione sostenuta e il controllo, dunque anche l’autoregolazione (controllo dell’emotività durante la prestazione). 
 
Da ciò derivano un senso di autoefficacia (esperito internamente ma comunque reale) e un miglioramento dell’autostima, con ricadute esponenziali sulle future prestazioni (si ottimizza il livello mnestico ed attentivo).
 
Per innescare questo circuito ci vuole una minima convinzione di base ed una applicazione minimamente fiduciosa e motivata al training, soprattutto per i ragazzi e gli adolescenti .
Anatomicamente, emozione e cognizione trovano un punto di incontro nel Giro del Cingolo, la stessa area cerebrale che si attiva durante la lettura e fornisce le energie attentive necessarie.

Il Sistema Attentivo Supervisore – SAS


 

Il SAS è il sistema che ha il compito di fornire le “energie attentive” per lo svolgimento dei compiti quotidiani. Ha la funzione di supervisionare il flusso delle operazioni automatizzate e di attuare la soluzione più appropriata al contesto del momento.

 

Le risorse a disposizione, però, non sono infinite, ma a capacità limitata: ad esempio, non possiamo svolgere contemporaneamente due compiti non automatizzati, perchè uno toglierebbe energie all’altro.

Il SAS è deputato principalmente a:

  • Fornire le “risorse attentive”;
  • Sostenere l’attenzione;
  • Controllare pensiero e azione ed emozioni;
  • Gestire i distrattori;
  • Mantenere la concentrazione sullo scopo;
  • Organizzare, pianificare;
  • Sostenere i processi delle memorie e degli apprendimenti (problem solving);
  • Passare velocemente da un compito all’altro.



Ora è più facile comprendere come mai un bambino dislessico (o con DSA) con un SAS “debole” abbia anche difficoltà nella pianificazione, nell’organizzazione, in certi tipi di memorie oppure nel gestire l’emotività.

Anatomicamente il SAS è collocabile in prevalenza nei Lobi Frontali, nel Giro del Cingolo anteriore, nei Gangli alla base e nel Cervelletto.

Nel corso del blog i termini Sistema Attentivo Supervisore (SAS) di Shallice (1988), Processore Centrale di Moscovitch ed Umiltà (1990) e Sistema Esecutivo Centrale di Baddley (1986) sono utilizzati in maniera interscambiabile.

 

Lo sport e il Sistema Attentivo

L’importanza dello SPORT

L’apprendimento motorio complesso richiede un intervento diretto del Sistema Attentivo Supervisore (SAS). Si possono quindi affrontare diversi e importanti aspetti del SAS calibrando le difficoltà sulle reali risorse del soggetto, che sarà impegnato in esercizi gradualmente sempre più complessi.



L’apprendimento motorio complesso richiede un intervento diretto del SAS perché, come la lettura, è un modulo di terzo tipo (il modulo è un sistema automatizzato che compie uno specifico compito).
 
Ma quali aspetti del SAS vengono toccati attraverso lo sport?
  • la gestione della frustrazione;
  • il controllo dell’interferenza;
  • il cambiamento di compito;
  • la gestione dei “doppi compiti”;
  • l’avvio e il “pronti e via” – allerta fasico
  • l’attenzione sostenuta – allerta tonico
  • lo sviluppo delle risorse.
Il primo punto, la gestione della frustrazione, è molto importante proprio rispetto alla scuola. Un brutto voto, una delusione scolastica può essere problematica da gestire, allora perché non cambiare ambiente, perché non utilizzare le piccole sconfitte e il duro impegno da sostenere attraverso uno sport (fatto come si deve) per iniziare a gestire la frustrazione? Riflettiamoci !!

EFFETTO AFFOLLAMENTO – crowding effect

Le numerose parole di un brano, pensiamo al caso limite della pagina di un vocabolario, possono creare interferenze e confusione nella lettura. Quest’ultima può essere caratterizzata, ad esempio, da errori di sostituzione di lettere da una parola all’altra (fuoco dell’attenzione allargato), oppure le parole che seguono (sulla destra) interferiscono con la parola che dovrebbe essere letta sulla sinistra (fuoco dell’attezione spostato lateralmente).
Da questo disagio nasce “l’antipatia” per le pagine fitte di testo, con poco bianco e con parole e caratteri poco spaziati, il tutto peggiorato da “corpi” (dimensione del carattere) molto piccoli, fino ad arrivare al rifiuto completo di un testo da leggere.

Le cause dell’effetto affollamento possono essere legate a disturbi al sistema magnocellulare, alla rigidità del fuoco attentivo, o di conseguenza a movimenti oculari (saccadi) disordinati.

I doppi compiti

Due compiti dati contemporaneamente o in successione vengono detti “doppi compiti”.

Le risorse attentive sono a capacità limitata, dunque non è possibile svolgere contemporaneamente due azioni che non hanno un alto grado di automatismo

Leggere dalla lavagna e ricopiare (scrivere) è già un doppio compito.

Se un un soggetto non ha raggiunto un sufficiente grado di automatismo nella lettura e nella scrittura, il ricopiare dalla lavagna risulterà quindi difficoltoso perché richiede l’esecuzione in parallelo di entrambe le azioni.

Altri doppi compiti:

  • Scrivere correttamente per quanto riguarda ortografia e segno grafico;
  • Leggere e comprendere il testo;
  • Leggere la musica e suonare;
  • Incolonnare i numeri ed eseguire le operazioni correttamente

Un esempio classico è proprio la scrittura, in una fase in cui il soggetto non domina ancora ortografia e segno grafico, in cui una è a scapito dell’altra:

– se il soggetto si concentra sull’ortografia la sua velocità può risentirne e rimanere indietro;
– al contrario, se tenta di stare al passo dei compagni la sua brutta grafia potrebbe portare con sè molti errori ortografici.

Dunque è solo con la padronanza comportamentale dei livelli inferiori, le fondamenta, che è possibile costruire sopra una città di abilità complesse.

La padronanza comportamentale

La “padronanza comportamentale” (Karmiloff-Smith, 1992) è la teoria secondo cui le funzioni più complesse possono svilupparsi solo se quelle di base sono state consolidate.

 Ad esempio, il problem solving, non può espletarsi in maniera soddisfacente se, ad esempio, sono carenti l’attenzione sostenuta o la memoria di lavoro (memoria a breve termine), per non parlare della capacità di pianificazione e di isolamento delle variabili.
 
Nella lettura, ma anche in altri DSA come la discalculia o disgrafia, senza lo sviluppo e l’allenamento delle funzioni base non si può arrivare alla completa modularizzazione del modulo in questione.

La formazione di un apprendimento o “modularizzazione”

La “modularizzazione” è lo sviluppo graduale di un modulo, di un apprendimento, fino alla sua maturazione e al raggiungimento di un alto livello di automatizzazione.

Karmiloff-Smith (1992) sostiene che un modulo necessiti di un certo tempo per maturare attraverso specifiche interazioni ambientali.

L’automatismo, pensiamo al mondo dello sport, nasce dall’abitudine alla ripetizione lenta che, gradualmente, acquista sicurezza e si velocizza. Agendo in tal senso il movimento motorio iperappreso verrà riprodotto automaticamente durante la prestazione senza bisogno dell’intervento del SAS, che rimarrà però vigile e pronto ad intervenire in caso di necessità (F. Mazzoli, 2010).


Il soggetto dislessico ha poco sviluppato l’automatismo della lettura. Per evolverlo maggiormente non dovrà solo leggere di più, agire sul singolo modulo, ma dovrà acquisire la “padronanza comportamentale” (Karmiloff-Smith, 1992) dei processi sottostanti con programmi appositi. Verrà sollecitato l’automatismo rinforzando tutti gli aspetti sottostanti la lettura in maniera soddisfacente.

La lettura è un modulo di 3° tipo

“Leggere” non è affatto un apprendimento banale, in quanto è un modulo, cioè un sistema automatizzato che compie un lavoro specifico di una certa complessità.

Possiamo dividere i moduli in tre classi o tipi, dai più semplici a quelli più complessi, secondo la schematizzazione di Moscovich e Umiltà (1990):


Moduli di 1° tipo:
i riflessi e la percezione delle caratteristiche (il colore, la forma, la captazione  delle frequenze acustiche…);


Moduli di 2° tipo:
le abilità linguistiche, il riconoscimento degli oggetti;

Moduli di 3° tipo:
la lettura e le abilità motorie complesse (attività sportive, suonare strumenti musicali);

La lettura appartiene dunque al terzo gruppo, il quale è formato da moduli di primo e di secondo tipo assemblati tra di loro grazie all’esperienza, alla volontà e alle risorse attentive. In particolare la lettura nasce dall’unione del linguaggio (mod. di 2° tipo) e della percezione visiva (mod. di 2° tipo) il tutto sostenuto dalle memorie e dal Sistema Attentivo Supervisore o SAS.

 
 
In particolare, la formazione o lo sviluppo dei moduli si chiama “modularizzazione”  concetto fondamentale per lo studio dei DSA e per orientare i training abilitativi.